Talenti e Scollaboratori

Tra le nostre filosofie ce n’è una in particolare che desideriamo condividere, ovvero quella basata sulle caratteristiche e sulle abilità che devono avere le persone per poter lavorare da noi. Non ci definiamo come persone snob, ma come un gruppo che considera esclusivo poter far parte di una realtà realmente innovativa come la nostra.

Per noi esistono due estremi a cui un professionista può tendere: il talento o lo scollaboratore.

Il primo ha caratteristiche ben precise, a volte solo embrionali, che vanno sviluppate ed allenate. Su queste persone investiamo tutto il nostro tempo e le nostre risorse. Anche il secondo ha caratteristiche ben precise, ma va allontanato dal gruppo prima che il danno sia irreparabile.

Ma quali sono le caratteristiche che, secondo noi, definiscono un professionista di talento?

La prima è il senso di inadeguatezza. Il talento è colui che, pur ottenendo buoni risultati, non si sente mai arrivato. Non ne sa mai abbastanza. Si sente sempre “positivamente inadeguato” per il proprio ruolo e quindi è costantemente focalizzato sull’automiglioramento, continua ad aggiornarsi, è desideroso di imparare e di crescere, si confronta con i migliori e cerca di emularli.

La seconda è il senso di urgenza. Per un talento il momento giusto è sempre “adesso”. Scalpita dal desiderio di ottenere risultati, si attiva tempestivamente per realizzare le idee che ha pensato. Non ha tempo da perdere. Non vuole rimandare, aspettare, procrastinare. Vuole solo ottenere risultati, realizzare i suoi sogni. In fretta.

La terza è la disponibilità al cambiamento. Diffidate di chi resiste al cambiamento e alle innovazioni. Di chi dice che tutto va bene perché ha sempre funzionato così. Queste persone non vi porteranno nel futuro e non faranno espandere la vostra azienda. Il talento anticipa il cambiamento e lo cavalca; o perlomeno non lo frena. Spesso lo propone e vi partecipa attivamente.

La quarta è l’orientamento a fare prima di avere. Il vero talento prima agisce e porta risultati, poi chiede qualcosa in cambio. Non ha bisogno del “gettone” per fare qualcosa. Coloro che dicono “Per vendere i nuovi prodotti mi serve la brochure”, oppure “Si, partecipo a questo progetto; ma quanto ci guadagno?” sono collaboratori jukebox, nel senso che non funzionano se non inserisci il gettone; non sono veri talenti, per quanto possano avere capacità produttive o competenze tecniche specifiche. Il talento invece possiede intraprendenza e iniziativa, si mette all’opera senza necessariamente aspettarsi un ritorno economico o un riconoscimento immediato: spesso si attiva anche su progetti non strettamente legati al suo ruolo specifico, motivato dal desiderio di contribuire e aiutare.

La quinta è l’atteggiamento “no problem”. Il talento è focalizzato sui risultati e pensa che qualsiasi barriera possa essere abbattuta e qualsiasi difficoltà risolta. È più concentrato sulle soluzioni che sui problemi e sa che può contribuire a migliorare l’azienda in cui lavora risolvendo personalmente le difficoltà che incontra, evitando che queste arrivino ai suoi superiori. Affronta ogni situazione dicendo al suo capo “Non preoccuparti. Me ne occupo io”.

Quanto vale per un imprenditore, o un cliente, arrivare alla mattina in azienda e trovare qualcuno che con un sorriso gli porta delle soluzioni ai problemi? Questo non ha prezzo.

Riassumendo… come riconoscete un talento?

Dalla spinta costante al miglioramento personale. Dalla velocità nell’ottenere risultati. Dalla predisposizione all’innovazione. Dall’iniziativa senza pretese. Dalla capacità di risolvere i problemi.

Come fare, invece, per riconoscere uno scollaboratore?

Si tratta di un termine inventato aggiungendo alla parola collaboratori la “s” iniziale, che nel linguaggio comune spesso crea l’opposto di un termine (per esempio s-contento, s-cotto, s-naturato, s-valutato, s-midollato). Quindi il termine scollaboratori significa il contrario di collaboratori.

Gli scollaboratori sono coloro che attivamente “remano contro” l’azienda, sono scarsamente cooperativi, sono spesso polemici e in disaccordo con le decisioni dell’azienda, sempre pronti a evidenziare quello che non funziona, con l’innata capacità di colorare a tinte fosche qualsiasi situazione così da renderla più difficile da affrontare e risolvere. In poche parole, sono gli specialisti del problem creating.

Verrebbe istintivo identificare lo scollaboratore con una persona poco produttiva o scarsamente competente. Ma non è così. Molti scollaboratori sono individui capaci, tecnicamente preparati e produttivi, ma che di fatto disgregano il gruppo.

E questo è un enorme danno per un’azienda perché il successo è sempre e soltanto un’attività di gruppo. Chi comprende questo concetto lavora in comunità di intenti con i propri colleghi, cerca di aiutare gli altri e crede nei valori della condivisione e della partecipazione.

Lo scollaboratore invece lavora per dividere, crea barriere tra le persone, spesso mette zizzania, è un individualista orientato al proprio interesse personale e non alla collaborazione, né al successo dell’azienda, anche se spesso afferma il contrario.

Quindi il criterio per distinguere un talento da uno scollaboratore non è il livello di produttività e/o di competenza tecnica, ma la capacità di creare relazione. Una persona di valore per l’azienda è disposta a comunicare e a condividere idee, capacità e know how con gli altri membri del gruppo; una persona di scarso valore allontana le altre persone, le mette in soggezione, rende difficile la comunicazione e lo scambio, non condivide e non trasferisce le proprie conoscenze.

Concludiamo citando alcune parole del co-fondatore e CEO di Netflix, la cui filosofia ha da sempre ispirato la nostra organizzazione perchè si fonda sul concetto di avere talenti prima di avere regole e procedure.


Abbiamo scoperto che un’organizzazione ad alta densità di talento è un’organizzazione per cui tutti vogliono lavorare. Le persone altamente performanti prosperano in particolar modo in ambienti caratterizzati da un’alta densità di talento complessiva.

Con il senno di poi mi resi conto che un team con un paio di persone dalle prestazioni appena accettabili abbassa il livello di prestazioni di ogni suo membro. Se avete un team composto da cinque dipendenti straordinari e due accettabili questi ultimi:

  • Assorbono l’energia dei manager, che hanno meno tempo per chi ha prestazioni eccelse;
  • Abbassano la qualità delle discussioni di gruppo, riducendo il QI complessivo del team;
  • Costringono gli altri a sviluppare modi per adeguarsi a loro, riducendo l’efficienza;
  • Spingono il personale che mira all’eccellenza ad andarsene;
  • Mostrano al team che accettate la mediocrità, amplificando così il problema.

Per questi motivi siamo sempre alla ricerca di talenti desiderosi di dimostrare il proprio valore.

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Riferimenti bibliografici: “Scegli chi ti aiuta” di Federica Broccoli e Flavio Cabrini; “No Rules Rules: Netflix and the Culture of Reinvention” di Erin Meyer e Reed Hastings